L'origine del gatto? A dar credito alla tradizione che si tramanda in Oriente, dovremmo risalire al Diluvio.
Mulla, che fu ambasciatore della Sublime Porta, scriveva:
«L'arca navigava già da molte settimane, quando, una mattina, il maiale - da quel servo che è - si grattò e vomitò una coppia di topi; tipi talmente prolifici che Noè, dopo aver implorato Dio, chiamò in aiuto il leone.
Il leone si stiracchiò, ruggì alla vista del maiale, e si soffiò il naso così vigorosamente che un gatto gli balzò fuori dalle narici: un gatto tanto battagliero che si gettò immediatamente sui topi e li uccise.
Una sola coppia ebbe salva la vita; ma da quel giorno il gatto si mostrò così arrogante, che Noè, per punirlo, dovette legarlo sul ponte nel bel mezzo della tempesta.
Donde, in seguito, l'atteggiamento sdegnoso di tanti gatti, e l'orrore dell'acqua che li perseguita ancor oggi».
Il buon Noè ha le spalle larghe, ma la calunnia è esagerata.
Secondo altre fonti, il gatto sarebbe «nato dalle condiscendenti indulgenze della signora leonessa verso il buffone del suo regale sposo, una scimmia intraprendente che l'aveva tanto divertita».
Per quel minimo di verosimiglianza che non si può non richiedere anche con tutta la buona volontà, è una fortuna che la leggenda non sia la Storia.
Che cosa dice, la storia di quella dei documenti scolpiti, dipinti, incisi o scritti che sono pervenuti fino a noi?
Quali uomini hanno per primi scoperto il gatto?
«Sono i mochica», dice il professor Hoyle; «indiani primitivi delle Ande, che più tardi daranno vita alla civiltà Inca».
Attraverso lo studio delle ceramiche più antiche, il coltissimo studioso peruviano, direttore del museo archeologico di Trujillo, cerca di dimostrare che il gatto fu la divinità suprema del grande popolo mochica.
Rappresentato ora come un pastore, ora come un musico, un medico o un soldato, il gatto conserva sempre, su questi documenti, apparenza umana.
Con il muso allungato, baffi al vento e dita unghiute, è accompagnato o preceduto da un cane; e calpestano entrambi una lucertola antropomorfa la quale - appiattita, servile e ossequiente - simboleggia il popolo ignaro.
Più tardi, naturalmente, c'è l'Egitto.
La vera storia del gatto comincia con l'Egitto, sebbene ci si trovi d'accordo su un punto solo: non è nel corso della dodicesima dinastia faraonica, come sostiene Champfleury, né della diciassettesima, bensì nella quinta (e lo prova la scoperta, nella tomba di Ti, della riproduzione d'un gatto, con il collo imprigionato in un grande collare), che gli egiziani avrebbero introdotto nei templi il piccolo felino sconosciuto, per sostituire le pericolose leonesse, che fino ad allora ne vietavano l'ingresso.
Donde veniva, questo animale, che invano si cercherebbe sugli ipogei e fra le sculture anteriori?
Fu utilizzato dapprima dai nubiani?
Il particolare non ha grande importanza : cronologicamente, la Nubia e l'Antico Egitto sono molto vicini. E prima dell'Egitto?
Prima, si dice con estrema prudenza, il gatto viveva probabilmente allo stato selvaggio in Africa.
Gli africani, comunque, hanno sempre rispettato il gatto; o meglio ne hanno sempre tollerato la presenza. È raro che gli facciano una carezza, non si preoccupano di curarlo e tanto meno di dargli da mangiare; ma certe popolazioni negre che mangiano con soddisfazione la carne di scimmia o di cane e che assaggiano, se capita, un polpaccio umano, preferirebbero rimanere a digiuno piuttosto che mangiare carne di gatto.
Perché? Probabilmente perché i negri africani sono stati, più o meno, soldati o servi dei Faraoni.
Hanno visto il gatto all'opera, nell'Alto Egitto, contro quel grande flagello che è il topo.
Hanno visto di quanto rispetto veniva circondato: ed è bastato perché, per tradizione, per ammirazione o per timore, l'uomo africano di oggi voglia bene al gatto.
E prima dei gatti dei Faraoni? Certo, sono stati trovati un pò dovunque ossami di gatti mescolati a quelli del cane, del cavallo e del bue dell'età della pietra: non v'è dubbio che si tratti di gatti selvatici: anzi, diciamo pure, non v'è dubbio che si tratti di selvaggina.
D'altronde tutti gli autori sono d'accordo su questo punto: il gatto domestico non è un discendente del gatto selvatico.
Ogni volta che si è tentato di realizzare un'ibridazione, cercando di accoppiare gatti selvatici e gatti domestici, i risultati sono stati quanto mai deludenti.
Il gatto domestico si può incrociare con il gatto selvatico della giungla, col gatto d'Asia e persino con la lince, ma il prodotto di tali difficili matrimoni muore generalmente giovanissimo, e l'esperimento non è mai riuscito ad andare oltre la prima generazione.
Tutto sommato, ne sappiamo assai di più sul mammut, sul bisonte antico o sulla tigre delle caverne che sul gatto domestico del periodo anteriore ai Faraoni.
Potrebbe forse significare, questo, che prima dell'Egitto il gatto domestico non esisteva?
Una pantera mal sviluppata?
In proposito non abbiamo alcuna documentazione precisa.
Tracce di felini se ne trovano ovunque: fatta eccezione per l'Australia, le Antille, il Madagascar e le terre polari, i felini sono dappertutto, dal momento in cui i mammiferi compaiono sulla terra.
Tuttavia, a parte la linee, il Vecchio e il Nuovo Mondo non posseggono una sola specie felina - non una - che sia comune ad uno fra tutti i numerosi gatti e felini conosciuti nell'uno e nell'altro emisfero.
L'America ha il puma (che «scimmiotta» il leone), il giaguaro (che ricorda un pò la pantera) e l'ocelot (che può sembrare un piccolo leopardo); ma non esistono veri leoni né vere tigri nel Nuovo Mondo; quanto ai felini di proporzioni ridotte, né il margay (gatto tigrato del Sud), né l'eyra (gatto delle pampas), né il colocolo (il cui aspetto fa pensare alla linee) possono venir presi in considerazione per tentar di stabilire la genealogia dei nostri signorotti delle grondaie.
Il gatto domestico americano è un immigrato: non è un felino indigeno.
Dove cercare dunque l'antenato? In Asia? Fra i «gatti screziati» delle isole della Sonda o fra i gatti del Bengala?
Fra quelli di Giava o di Sumatra?
Fra i «gatti color ruggine» o fra i «gatti ornati» delle Indie?
In Africa, fra i gatti cafri dell'equatore, o fra i «gatti dai piedi neri» del Sud?
Fra i «gatti con gli stivali» dell'Africa settentrionale o i «gatti guantati» del Sudan?
Fra i caracal che vivono, si può dire, dappertutto in Africa, gli uni di pelame uniforme, un poco più scuro verso le orecchie, gli altri più o meno zebrati? È vero che entrambi hanno trenta denti, come il gatto, e che entrambi avrebbero potuto dare origine ai gatti domestici d'Egitto; senonché non si conoscono caracal zebrati, né gattopardi di colore uniforme; né alcun piccolo felino che possa aver dato una discendenza eclettica come quella dei gatti siamesi, dei gatti tricolori spagnoli, dei certosini, degli abissini, dei gatti bianchi e dei gatti uniformemente neri, che costituiscono il patrimonio felino domestico attuale.
Resta però un felino selvatico, di grandi proporzioni, che con la famiglia dei gatti presenta tanta somiglianza e tanti punti in comune che non si può non essere tentati d'avanzare - con prudenza - un'opinione, evidentemente gratuita, sulle origini del gatto; un'opinione che, pur tenendo conto di alcune differenze anatomiche fra i due felini considerati (differenze che, in particolare, interessano il cervello), può forse chiarire la delicata questione dell'origine del gatto domestico.
Il felis pardus, la pantera africana, è, secondo la felice espressione del professor Bertin, un «supergatto».
Esso presenta, più accentuate, le stesse forme, la bellezza, la grazia, la forza, l'agilità, e - cosa ancor più sorprendente - cambia di grandezza e di colore - come il gatto - secondo i cieli e l'ambiente, senza che tuttavia lo si possa suddividere in specie diverse.
Nella pantera, come nel gatto, non si trovano mai due pelli dal disegno identico.
Infine la pantera, come il gatto, vive sotto qualunque cielo, o quasi.
In Africa la si trova tanto vicino al Mediterraneo quanto nel cuore dell'Africa centrale o al Capo di Buona Speranza.
In Asia la si incontra dall'Asia Minore al Giappone, e dal sud della Siberia alle più piccole isole della Sonda.
E se una delle sue varietà, la «pantera nebulosa» dal meraviglioso pelame grigio a macchie irregolari, non fa necessariamente pensare al gatto, come non evocare irresistibilmente la «supergatta» quando ammiriamo, raccolta, pronta a scattare, con la coda nervosa che sferza l'aria, la mirabile pantera nera di Giava, che non è mai di colore uniforme, come si crede, ma il cui pelame è sempre, come quello del gatto, più o meno chiazzato, a macchie incerte?
Basta poco per mutare una specie
Osservando i gatti mummificati dell'Egitto, Curier aveva creduto di poter stabilire l'immutabilità delle specie.
Ma trasportando un gatto in Paraguay, Darwin provò che spesso basta molto poco per trasformare un animale al punto da dargli una forma nuova.
Dunque? Una mutazione brusca, forse? L'apparizione subita di una forma ridotta di nanismo in una pantera africana sotto l'influenza di qualche fenomeno mal noto?
Mutazione che potrebbe esser divenuta ereditaria e aver dato origine al gatto, il quale sarebbe stato prima addomesticato e poi adottato dai nubiani ed egiziani.
Si sarebbe proprio tentati di credervi, se un particolare - la differenza dell'apertura della pupilla, rotonda in tutti gli altri felini e ovale nel gatto - non suggerisse scrupoli segreti anche nei più arditi; sebbene - diciamolo pure - la famosa «fessura pupillare» non sia affatto specifica di un genere, dato che la troviamo anche nella genetta, una simpatica civetta (o «zibetto») che si addomestica... come un gatto!